La storia
Sant’Anna: una storia rapallese
Se raccontare una storia non e’ difficile, non si puo’ dire che sia facile scriverla; nel “racconto” si possono assemblare miti, leggende, informazioni, documenti e quant’altro: si ottiene “una” storia da narrare. Attenendosi invece ai dati oggettivi, pur nella diversita’ delle interpretazioni, si scrive “la” storia, compito assai piu’ improbo che comporta conoscenze e ricerche rigorose; tanto piu’ lo e’ per una localita’ come S.Anna, che solo recentemente si è sviluppata come centro abitato e che, per secoli, è stata sede di orti e di campi. Eppure…
Paolo S. e Piero C.
All’alba dei secoli
…Eppure, quella che è stata per tanto tempo un’appendice di Rapallo, è probabilmente il luogo che ha visto i primi insediamenti umani della zona; e come spesso accade nella storia, a testimoniare l’esistenza della vita è l’avvenimento potente e misterioso della morte, che chiede alla mente di essere comprese e giustificata (od esorcizzata) in ogni epoca. Da qui il “culto” dei defunti e le informazioni che, dalle sue vestigia, ricaviamo sulla vita dei nostri antenati.
Per la verità i rinvenimenti della collina di Cappelletta, del 1911, non ci aiutano molto in questo senso: un’urna cineraria di terracotta non verniciata, decorata con due serie di svastiche, chiusa da una ciotola con analoghi fregi; un vaso accessorio; bracciale d’oro; la punta di una lancia e qualche altro reperto di dubbia funzione.
Le svastiche inducono l’Issel ad attribuire l’urna a popolazioni italiche non liguri, vista l’assenza del fregio da analoghi reperti della nostra regione e la sua diffusione in Toscana e nel Lazio.
Altri, per lo stesso motivo, sostengono l’origine etrusca del vaso, ponendolo fuori dal contesto delle popolazioni locali: l’urna sarebbe stata importata o sarebbe appartenuta ad un greco. Resta il problema della collocazione temporale del cimelio: se effettivamente risalisse all’epoca della necropoli di Chiavari, scoperta successivamente e fatta risalire al 700 a.C., potrebbe effettivamente trattarsi di un vaso d’importazione, visto che i Liguri, in quel periodo, erano già buoni navigatori. E’ comunque suggestivo l’accostamento con l’urna rinvenuta nella vicina S.Margherita, che lo Scarsella colloca “poeticamente” nel 236 d.C. (anno a cui risale la leggenda della fondazione del paese).
Il vaso, contenente le ceneri di Lucio Taiezio Pepso, riporta l’immagine del dio Sole: in particolare del dio Mitra (orientale) che i Greci ed i Romani adoravano con il nome di Febo e di Apollo; e di Apollo sono rappresentati i simoboli-attributi: l’alloro e i cigni.
E’ singolare notare come l’urna, sicuramente di epoca romana, faccia
riferimento al sole il cui antico simbolo in oriente, è proprio la svastica come disegnata sul vaso di S.Anna, di qualche secolo anteriore.
Accettare o modificare le ipotesi fin qui riportate, su queste basi, non sembra possibile; quei reperti meriterebbero ben altri approfondimenti storico-scientifici.
Tuttavia appare assai plausibile l’ipotesi secondo la quale i primi insediamenti umani della zona si trovassero sulle alture di S.Anna, anche per la probabile natura paludosa, all’epoca, della zona a mare.
Assai evidente è anche l’influenza progressivamente esercitata da altri popoli sui Tigulli locali, sia per i contatti derivati dall’attività marinara che, successivamente, a causa dell’espansione romana e le conseguenti immigrazioni-emigrazioni, volontarie o forzate, all’interno dello stato. Quale sia l’origine dell’urna di S.Anna, essa è comunque testimonianza della nascita di un culto successivamente sviluppatosi e modificatosi come provano, oltre all’urna di S.Margherita, toponimi quali Lerici (da Erice) e Portovenere: un culto che è difficile, anzi impossibile, considerare autoctono.
Lungo la Via Aurelia
La “romanizzazione”, del resto, inizialmente solo culturale, procede con l’attribuzione dello status di colonia a tutta l’Italia del nord (Alberto di Giussano non è ancora nato), ma in futuro ciò comporta la fondazione di nuove città , che sostituiscono i vecchi insediamenti sparsi tipici dei Tigulli, e l’integrazione delle stesse nella rete stradale romana. Così, nel 109 a.C., M. Emilio Scauro fa prolungare l’Aurelia fino a Pisa, Genova, Acqui Terme e Tortona. Costruita per scopi principalmente militari, la nuova strada attraversa S.Anna, sia per evitare le paludi che per raggiungere più rapidamente e sicuramente Genova.
Forse, a questo punto, S.Anna non è più il principale insediamento di Rapallo, e forse non è più un insediamento. Qualche secolo più tardi perde anche il “traffico” dell’Aurelia, deviata verso S.Lorenzo, ma di cotanto oltraggio oggi giustizia è fatta: ciò che era andato perduto è reso moltiplicato all’infinito grazie al casello autostradale: e, ironia della storia, l’autostrada potrebbe diventare l’Aurelia-bis. I Fieschi
I Fieschi
Costituiscono un importante tassello nella storia di Rapallo. Riteniamo fondamentale riferirci a loro, anche perchè sulle pendici di S.Anna essi lasciano precise testimonianze della loro presenza nel territorio rapallese.
Non è facile documentare l’anno preciso in cui i Fieschi si affacciano nella storia della nostra città .
Verso la fine del primo millennio, tuttavia, la potente famiglia lavagnese mostra forti appetiti su Rapallo, in aperto contrasto con Genova, anch’essa impegnata ad allargare i propri domini. Rapallo si trova così a ridosso di un caldo confine che non è solo politico, ma anche economico: da una parte l’economia genovese, che rappresenta lo sviluppo di un capitale mobile, dall’altra quella lavagnese di stampo feudale.
Per la verità Genova, impegnata in molte battaglia sul mare e nella guerra contro Pisa, non ha in programma la “distruzione” delle varie famiglie feudali, cerca di ridurle all’obbedienza sovrapponendo ad esse un proprio potere politico-economico. Ma i Fieschi non si lasciano facilmente piegare e costringono Genova ad aspre e durature contese. Nel 1167, per timore delle offensive dei Fieschi, Genova erige il Castello di Chiavari e nel 1169, per prevenire un attacco dei signori di Lavagna, scatena su quest’ultima una feroce repressione. I lavagnesi pagano un forte tributo anche sotto forma di torture fisiche: ad alcuni vengono amputati i piedi, ad altri le mani, ad altri ancora parti del viso.
Battaglie e guerre diminuiscono certamente la potenza dei Fieschi, ma non la eliminano: la famiglia ha solide basi economiche, consolidate con il continuo acquisto di case e terreni. Con tutta probabilità i Fieschi utilizzano al strategia economica per affermarsi come potenza anche al di fuori dei territori da loro strettamente controllati.
Uno scritto recante la data del 26 maggio 1254 attesta la presenza dei Fieschi a Rapallo, sulla collina di S.Anna. tale documento è un atto tra un certo Giacomo Boleto e Simona Fieschi, al quale acquista un terreno detto “in pastinis” per conto del figlio Nicolò (padre di Alagia Fieschi, ricordata da Dante Alighieri). Il documento stesso lascia capire che la presenza dei Fieschi sul colle di Cappelletta non è una novità : il possedimento ora acquistato si salda con gli altri attigui, già in possesso della famiglia. La novità consiste nell’acquisto, oltre che del terreno, anche di una casa con torre che in breve tempo viene chiamata “Torre Fiesca” e che costituisce il simbolo della presenza dei Fieschi nella nostra città . Vogliamo ricordare che Simona Fieschi, figlia del nobile genovese Raimondo della Volta, è sposa del potente Tedisio Fieschi, fratello del pontefice Innocenzo IV. Dalla loro unione nasce Ottobono Fieschi, futuro papa.
Un altro atto di vendita del 3 novembre 1257 ci permette di conoscere nei dettagli la sistemazione dell’area circostante la Torre Fiesca e ci dà anche notizia dell’esistenza nei pressi di una chiesa dedicata a S.Vincenzo, sulla quale vogliamo soffermarci.
Di questo edificio, situato nei pressi della cipresseta tra Via Villa Grande e salita Cappelletta, quasi a ridosso del tracciato autostradale, oggi non rimane traccia alcuna, anche se nei secoli riveste notevole importanza. In un testamento sottoscritto il 7 dicembre 1501, un certo Tommaso Lencisa lascia quaranta soldi per la riparazione e la ricostruzione della “ecclesia Sancti Vincentii de Pastinis”. Si assume l’incarico dei restauri il sacerdote Giorgio Figallo che il 9 dicembre dell’anno successivo riceve il giuspatronato della chiesa campestre, nel luogo detto de li Pastini, dal vicario generale dell’arcivescovo di Genova.
La lettera vescovile ci permette di apprendere che l’edificio, per la sua antichità, minaccia la rovina, e che esso sorge sulla terra in possesso di Carlo Fieschi. In seguito sulla chiesetta di S.Vincenzo cade il silenzio completo. Nel 1582 mons. Francesco Bosio, in qualità di visitatore apostolico, giunge in Rapallo e si accinge, tra le varie incombenze, a redigere un minuzioso elenco di tutti gli edifici sacri del nostro vicariato, ma della chiesa di S.Vincenzo non si fa menzione. Tutto lascia presumere che gli sforzi per salvarla abbiano dovuto cedere dinanzi all’ingiuria del tempo o a quella, ancor peggiore, degli uomini. Terreni, case, cappelle, testimoniano la presenza dei Fieschi a Rapallo. Meno certa è la presenza di Ottobono Fieschi in qualità di arciprete commendatario della Basilica Rapallese, certa invece è la dedizione che egli portò alla nostra citta’ .
Ne è prova il lascito di lire cinquanta che nel suo testamento, dettato in Valenza il 28 settembre 1275, egli fece “pauperibus de Valle Rapalli”. In gioventù Ottobono mostra particolare predilezione per la casa con torre “in Pastinis”, predilezione che mantiene, come attestano alcuni documenti storici, anche con il trascorrere degli anni, quando ormai gli impegni della vita ecclesiastica lo tengono lontano da quei luoghi. Per questo motivo consideriamo Ottobono un illustre antenato di Rapallo e, in particolare, della nostra zona e diamo notizie dettagliate della sua vita.
Il giovane Fieschi entra nella diplomazia ecclesiastica come legato di Clemente IV in Inghilterra. La’ riscuote le decime, predica la crociata e riconcilia re Enrico III con i suoi baroni. Più tardi, grazie alle sue abili doti diplomatiche, favorisce la politica di Carlo D’Angiò, ricevendo dal re onorificenze che aumentano la potenza del casato lavagnese.
Carlo D’Angiò, uno dei più potenti principi francesi del tempo, scende, infatti in Italia in appoggio al partito Guelfo. Le note vicende storiche lo vedono re di Sicilia, ma la sua influenza va oltre i confini del suo regno.
Alla morte di Innocenzo IV, Carlo D’Angiò vigila attentamente sul conclave, accampando particolari diritti in qualità di “senatore” della città . Ma i cardinali si fanno attendere e dal conclave escono solo fumate nere. Vinto dall’impazienza, il re decide di mettere i cardinali a pane ed acqua per poter affrettare la decisione. E così grazie anche all’influenza del cardinale Orsini, l’11 luglio 1276 viene letto Ottobono Fieschi, che sale al soglio pontificio con il nome di Adriano V. ai parenti giunti a Roma per congratularsi della sua elezione, sembra che il nuovo papa si sia rivolto così: “Vorrei che foste venuti a salutare un cardinale in buona salute, anzichè un papa moribondo”.
E realmente breve è il pontificato di Adriano V.
Egli, portatosi a Viterbo per appianare le difficoltà suscitate alla chiesa da Rodolfo di Asburgo, vi muore il 18 agosto dello stesso anno, ad appena 38 giorni dalla sua elezione.
Le sue spoglie sono custodite nella chiesa dei domenicani viterbesi. A riprova della gravosità del suo impegno, Dante nella Divina Commedia gli fa dire: “un mese e poco più provai io come pesa il gran manto a chi dal fango il guarda, chè piuma sembran tutte l’altre some” tuttavia lo stesso Dante lo colloca tra gli avari del Purgatorio e lo cita nel canto XIX. Non ci sentiamo in grado di commentare le scelte del divino poeta, ma le opere ed i molti lasciti elencati nel testamento di Adriano V non lo dimostrano tale.
Fonda la chiesa di Brigoso presso Sestri Levante, e, passando per Assisi assieme allo zio Innocenzo IV, avendo assistito alla morte di S. Chiara, dona aiuti alle consorelle. Nel 1272 fonda a Roma la chiesa e il monastero delle Clarisse; in Genova aiuta la fabbrica della chiesa dei Servi di Maria; a Chiavari dona al monastero di S. Eusebio i beni compratidall’arcivescovo di Genova situati in Sestri Levante; tra Sestri Levante e Riva destina fondi per la costruzione di un ospedale “per gli inglesi”, opera che testimonia quale ricordo egli continui a serbare della sua permanenza sul suolo britannico e che evidenzia il frequente transito per le nostre contrade dei pellegrini provenienti dall’oltre Manica.
A lui, inoltrre, va la gloria di aver ultimato la Basilica di S. Salvatore di Cogorno e di aver donato, nel 1276, allo stesso tempio, la preziosa reliquia della S. Croce, chiusa nella croce pettorale di papa Innocenzo IV.
Dopo questa lunga, doverosa digressione su Adriano V, ritorniamo ancora su alcuni documenti che testimoniano la forte presenza dei Fieschi nella nostra città . Un atto del 4 marzo 1269 registra l’impegno di una certa Ada vedova di Guglielmo Barbieri e del figlio Tommasino, di versare al cardinal Fieschi lire 17 e soldi 5 per l’uso delle terre “de Pastinis”. Il 4 ottobre 1271 vengono affidati, sempre per conto del futuro papa Adriano V, a Giacomo de Graverio una terra con torre e casa, torchio, tini, botti ed altri utensili, posti a Rapallo “in Pastinis”. Il locatario s’impegna, in cambio, a zappare ogni biennio l’uliveto, a “pastinare” il canneto, a potare la vigna e ad effettuare altri lavori agricoli, prendendo inoltre a suo carico anche il rifacimento del tetto della torre e della casa attigua. Il fitto viene stabilito in lire 13 per il primo anno ed in lire 13 e soldi 10 per gli anni successivi previsti dal contratto.
Tutti questi documenti ci fanno pensare che quando Ottobono viene eletto papa, egli è ancora in possesso dei suoi appezzamenti nel nostro sestiere. Essi devono comprendere anche mulini, poichè un atto del 25 febbraio 1264 vede un certo Bonvassallo della Val Trebbia accettare un arbritato avendo percosso il mugnaio del cardinale. Il 9 maggio 1265 l’arciprete Guglielmo di Lavagna acquista per conto del cardinale Fieschi, nelle località chiamate “Megnoigo”, “Paln mazor”, “Ad capellos”, “In laurego”, “In azeis”, “Ad bugnaracam”, ed il 9 marzo del 1268 lo stesso arciprete, sempre in qualità di procuratore del Cardinale, affitta da Ugo di Fontanabuona terre con casa, forno e frantoio poste nei luoghi detti “Morezasca”, “Boscomaggiore”, “Ad muris”, “In Fondica”nonchè terre con forno e frantoio poste nei luoghi “Chiappa” della frazione di S. Ambrogio. Un altro atto del 10 aprile 1269 elenca beni del cardinale in San Pietro di Novella, mentre un documento dell’11 gennaio 1270 cita case di sua proprietà nell’abitato rapallese “ante carubium”, presso le rovine del vecchio borgo, assieme ai canneti adiacenti il torrente “Bolago”.
Il 10 gennaio 1273 un mulino con ruote ed acquedotto viene affidato dal Cardinale a Giovanni De Cassino in località “Fossato dei Monti”.Questo rilevante patrimonio, alla morte del pontefice passa in eredità ai suoi familiari. La torre e le costruzioni annesse rimangono, pertanto, in possesso dei discendenti della famiglia Fieschi per molti secoli. Di ciò danno conferma anche due atti del novembre 1451, che citano appunto la torre dei Fieschi “in Pastene”ed i beni in “li Pastini”.
Ed è probabilmente a motivo della loro potenza economica che i Fieschi si fregiano sino al XVII secolo del titolo di “conti di Rapallo”.
L’antica cappella di Sant’Anna
L’antica cappella di Sant’Anna sorge sul vecchio tracciato romano della via Aurelia.
Soprattutto nel Levante ligure sin dall’antichità la strada viene affiancata dalla costruzione di chiese e cappelle, edificate non solo come luoghi di preghiera, ma anche come luoghi di riposo e di rifugio per i pellegrini che percorrono la via. Bisogna però attendere fino al 1629 per vedere sorgere, grazie all’iniziativa di un certo Giovanni Maria Figari, la nostra cappella. Alcuni storici ipotizzano che sul posto già in precedenza esistesse un qualche luogo di preghiera, ma l’originale impianto non sembra influenzato da preesistenze ed inoltre la meticolosa visita compiuta da Mons. Francesco Bosio nel 1582 a tutti gli edifici di culto del circondario non ne fa alcun cenno. Il primo documento ufficiale che fa menzione della chiesetta è invece costituito dal’atto con il quale, il 25 agosto 1642, il Senato genovese, ad istanza degli uomini di Rapallo, concede un salvacondotto generale per i debitori, valido per “sette giorni”: in occasione della fiera che s’intende fare il giorno di Sant’Anna presso la chiesa nuovamente fabbricata al “Ponte dela paglia”. Il permesso consentiva a coloro che erano ricercati dalla giustizia per debiti contratti, di fruire di una temporanea immunità di tre giorni prima e dopo la festa.
In occasione delle solennità si organizzano anche dei balli campestri ed il ricavato viene poi destinato ad opere di abbellimento per il piccolo tempio. Non mancano coloro che allestiscono la “balera” senza i dovuti permessi, come riporta il documento relativo alla denuncia al capitano Felice Porrata del 29 giugno 1723 a carico di Andrea Boero e Giovanni Ratto “perchè facean ballare vicino al Ponte della Paglia e suonare con musa e tamburo e far pagare le persone che ballano senza aver ottenuto licenza alcuna”.
Nel 1688 lo storico Giovanni Agostino Molfino redige a Venezia una storia del Santuario di Montallegro: “di alcune memorie istoriche della miracolosa Madonna celebrata sul Monte Leto in Liguria, volgarmente del Montallegro di Rapallo”, e in essa disegna il golfo di Rapallo in una visita ideale del mare: in questa gli edifici e i luoghi notevoli sono
numerati e descritti in una legenda ove al numero 19 è riportato: “chiesuola campestre, col ponte della paglia”.
La chiesetta accoglie per la messa festiva la popolazione della borgata, ma con il trascorrere degli anni l’edificio subisce un grave deterioramento e le celebrazioni vengono di conseguenza sospese.
L’arcivescovo genovese Nicolò Massa dei Fieschi, dopo una visita, il 2 agosto 1729 autorizza la ripresa dei riti avendo accolto la supplica degli abitanti che afferma: “da cento anni circa fu eretta una cappella dal fu Gio. Maria Figari al Ponte della Paglia verso Rapallo, nella quale si è sempre celebrata la Santa Messa per sollievo degli abitanti, ma per essere stato in parte distrutto il tetto da qualche anno in qua non si è più celebrato in pregiudizio di detti abitanti, li quali sono necessitati a non sentire messa nei tempi di gran pioggia; ora detti abitanti di consenso del patrone e con denaro in parte somministrato dal medesimo, la fecero ristorare e ridotta al suo antico stato”.
Nel settembre del 1770 l’attività della chiesuola viene tuttavia nuovamente sospesa, per ordine dell’arcivescovo Giovanni Lercari, anche a seguito dell’intervento dei parroci di Campo e Novella e per l’opposizione dell’arciprete di Rapallo. Assai modesto, pertanto, rimane nei secoli il ruolo di questa minuscola chiesa, non solo per le ridotte dimensioni, ma anche per la sua posizione di frontiera tra le varie parrocchie.
Nel 1888 i fratelli Remondini la descrivono come “troppo notevole pel color mattone di cui è in parte insudiciata e per la cupola coi due esigui campanili”. Il color mattone che la “insudiciava” era causato da una vicina fornace, attiva nella piana di S. Anna, fino agli anni ’50.
Mentre le altre chiese del territorio comunale sono state notevolmente rimaneggiate dal momento della loro fondazione, anche in tempi recenti, in molti casi con risultati architettonicamente ed artisticamente negativi, Sant’Anna conserva intatti i volumi e la spazialità interna originali. Inoltre si differenzia dalle altre chiese anche per l’inusuale schema architettonico: mentre gli altri luoghi di culto devono la loro configurazione su un impianto tradizionale a navata unica, i costruttori della chiesetta di Sant’Anna adottano lo schema delle chiese cinquecentesche di architetti famosi come Galeazzi Alessi.
Evidentissimo è infatti il richiamo alla chiesa genovese di S. Maria Assunta in Carignano, con l’impianto a croce greca, la grande cupola sull’alto tamburo e i due campanili in facciata.
In Sant’Anna, però, la grande opera alessiana non è stat ripresa pedissequamente, ma ne è stato rielaborato lo schema, non soltanto per l’esiguità dello spazio a disposizione, ma crediamo, anche per la volontà degli ideatori. Questi hanno felicemente sposato l’impianto centrale alessiano con quello longitudinale dell’architettura sacra tradizionale locale. Sebbene l’effetto di centralità sia notevole, dato in pianta dal quadrato su cui s’imposta per mezzo di pennacchi sferici il tamburo e quindi la cupola, i bracci laterali sono appena accennati, rettangoli molto allungati, mentre longitudinalmente al quadrato centrale sono affiancati uno spazio rettangolare di entrata, stretto fra i due campanili, ed un altro rettangolo di dimensioni più grandi ove è l’altare.
In alzata la chiesa ha un verticalismo notevole, dato dal rapporto tra le ridotte dimensioni in pianta e l’altezza dei muri in elevazione, accentuato da grosse lesene agli spigoli del quadrato centrale e dall’alto tamburo chesostiene la cupola, sormontata da uno slanciato lanternino. A questo effetto di verticalità contribuisce anche la luce che entra per la maggior parte dall’alto, dai grandi finestroni del tamburo, illuminando quest’ultimo, mentre il livello del pavimento rimane in penombra.
Le volte interne sono decorate da affreschi di epoca recente, mentre i muri esterni sono dipinti con la tradizionale tecnica ligure dei finti rilievi pittorici.
Di notevole fattura è il tabernacolo, realizzato in marmo bianco con intarsi di marmi colorati ed inserito in un altare intonacato e decorato a finto marmo, di forma tipica del periodo.
La storia di Rapallo, oltre che precise testimonianze di vita cittadina ed ecclesiale, scorre nei secoli attraverso i suoi torrenti: è uno scorrere rapido, impetuoso, talvolta alternato ad un lungo periodo di arsura e siccità . Nell’esistenza plurisecolare della nostra città le crisi ambientali non sono nuove: i rapallesi le hanno affrontate da sempre. Nei primordi della storia sono tuttavia limitate nel tempo e nello spazio, c’è sempre
una nuova terra verso cui spostarsi, c’è sempre un nuovo sito su cui ricominciare, ci sono sempre il tempo e l’opportunità perchè i poteri rigenerativi della natura e dell’uomo vi pongano rimedio.
Nei secoli, invece, quando Rapallo e le sue frazioni sono ben delineate, le crisi arrivano e talvolta sono foriere di grosse trasformazioni e di morte. Proprio S. Anna, situata com’è alla confluenza tra i due principali rami del torrente Boate, conosce nel tempo allagamenti ed alluvioni che minacciano più volte di compromettere, oltre all’abitato, anche il famoso “Ponte della Paglia”, che assolve per lunghi secoli ad un ruolo primario nel sistema delle comunicazioni terrestri. Significativa a questo proposito la segnalazione che il capitano rapallese Ottavio Morello trasmette il 2 ottobre 1625 al Senato della Repubblica di Genova: egli richiede opere di restauro per il manufatto che resta in strada romana, che è necessario farlo perchè venendo acque grosse, non potranno li viandanti e cavalli andare in detto cammino. Il ponte, inoltre, rappresenta per gli abitanti di S. Anna e per le frazioni vicine qualcosa di più che un elemento indispensabile del sistema viario.
Per secoli esso diventa il punto di riferimento di tutti gli abitanti del contado del nostro retroterra, per generazioni su di esso si svolgono le assemblee degli uomini di Novella e sul suo arco si scambiano, nel Cinquecento, il bacio della pace le famiglie Costa e Ratto, dopo aver infiammato la frazione di S. Andrea di Foggia con sanguinose contese.
Ma ritorniamo alle alluvioni.
Gli abitanti più anziani di S. Anna mantengono ancora il ricordo delle inondazioni dell’inizio del secolo. In quegli anni il Boate conserva ancora i suoi argini naturali e le case sono a poca distanza. Una pioggia a dirotto di notevole intensità si abbatte su Rapallo per tutta la notte del 23 novembre 1911. il torrente, ingigantito dalla grande massa d’acqua, esce dall’alveo proprio presso il Ponte della Paglia, preparandosi da lì ad invadere tutta la città . Animali e persone vengono sorpresi dalla furia delle acque: fortunatamente non si lamentano vittime, ma il quadro di Rapallo in quel lontano pomeriggio di novembre è desolante. Dai comuni vicini e da Genova si mette in moto la macchina dei soccorsi; nel frattempo i rapallesi che possiedono imbarcazioni iniziano un fitto movimento per salvare il salvabile. Le barche giungono fin sotto le case di S. Anna: alcune persone che hanno trovato rifugio nei piani alti delle abitazioni o addirittura sui tetti, vengono tratte in salvo. Quando si può si trasporta anche qualche semplice masserizia. Poi piano piano le nubi si diradano: anche dopo le peggiori tempeste torna il sereno. La pagina dolorosa viene così voltata anche se i danni sono ingentissimi.
Quattro anni dopo, e precisamente il 25 settembre 1915, il disastro purtroppo si replica e questa volta i lutti si affiancano alle rovine.
Oltre al centro cittadino, S. Anna e S. Pietro sono le località maggiormente colpite.
Ad impedire un regolare deflusso della gran massa d’acqua verso il mare è il vecchio ponte ferroviario sul Boate, il quale offre una luce di soli quindici metri. Si forma così rapidamente un autentico, immenso lago dalla superficie di circa 900.000 metri quadrati che racchiude non meno di 3.500.000 metri cubi d’acqua, per un’altezza di circa quattro metri. Dopo che alle 9.45 S. Anna è stata sommersa, il terrapieno ferroviario cede e la piena si abbatte implacabile sul centro cittadino.
Molte persone vengono investite di sorpresa dalla poltiglia d’acqua e di fango, altre sono trascinate fino al mare. Addirittura il corpo di una giovane sventurata è rinvenuto dopo parecchio tempo a Bordighera. Alla perdita di vite umane si uniscono i danni materiali che appaiono incalcolabili.
Nella tarda mattinata la visione di Rapallo e del suo immediato retroterra è spaventosa. A S. Anna molte case non esistono più; stalle e animali, unico sostentamento per molte famiglie, sono scomparsi, l’antica chiesetta resiste ma i suoi muri sono lesionati: gli arredi sacri sono irrimediabilmente perduti. Naturalmente i soccorsi si mettono subito in moto, ma questa volta ̈ è assai faticoso voltare pagina. Da Chiavari giugne anche il Vescovo, mons. Gamberoni, che oltre a portare un contributo materiale benedice la città in rovina. Nel conforto della preghiera si chiude così un amaro capitolo della storia rapallese.
Verso i giorni nostri
Le ferite dell’alluvione vengono nel tempo rimarginate, sia pure con qualche indelebile cicatrice. Sant’Anna ritorna ad essere un piccolo nucleo rurale, che rimane tale fino agli albori del grande sviluppo edilizio, nel 1950.
In quegli anni, accanto alle poche vecchie case a due piani, allineate lungo palazzoni. Tutta Rapallo è percorsa da un fremito edilizio, la città si espande, senza tuttavia rispettare i principi della più elementare urbanistica, anzi, molte volte questi vengono volutamente ignorati nel momento in cui più necessario sarebbe rispettarli, adattandoli alle nuove situazioni storiche, sociali e spirituali.
Costruire un edificio, progettare una città, programmare lo sviluppo urbano, significa prima di tutto definire spazi per l’uomo, per il suo tempo di lavoro come per quello dello svago e del riposo. In questa definizione non possono intervenire soltanto interessi economici e materiali, ma anche quelli di ordine spirituale e culturale perchè la città ha il compito di contribuire efficacemente alla salvaguardia della dignità dell’uomo, all’affermazione piena della sua personalità . Non si tratta, quindi, di una delimitazione più o meno spaziosa dei singoli ambienti, quanto della creazione di complessi ambientali che, mentre soddisfano le più moderne esigenze, elevano anche l’uomo nella sua interezza. Così purtroppo non avviene e tra la massicciata che ospita la sede ferroviaria e l’antica cappella di S. Anna si ha la più vertiginosa concentrazione di edifici che la storia del nostro comune ricordi.
Lo sviluppo “spontaneo” non si traduce in una totale perdita di senso e di identità per Rapallo, essa ne acquisisce piuttosto un altro che la accomuna ad altri agglomerati i quali più o meno hanno subito la stessa sorte. Le città medioevali sono dominate dall cattedrale e governate con l’apportodella Chiesa. Le città del Rinascimento e del Barocco sono dominate dal Palazzo e governate dal Principe. Le città del nostro tempo sono determinate dall’industria e dal commercio e dominate dall’interesse.
Alla crescita rapida e casuale di Rapallo non può certamente rimanere estranea la Diocesi che nel 1967 interviene erigendo una Vicaria Parrocchiale intitolata a Sant’Anna in un prefabbricato poco lontano dall’antica cappella, quest’ultima ormai insufficiente per una zona che ha conosciuto una reale rivoluzione urbanistica.
L’anno successivo l’Amministratore Apostolico di Chiavari, mons. Vescovo Luigi Maverna così scrive in una lettera pastorale indirizzata ai sacerdoti ed ai residenti vecchi e nuovi di Sant’Anna: “Allo scopo di provvedere al bene delle anime di questi nuovi quartieri della città abbiamo giudicato urgente erigere una nuova parrocchia”.
E così il 26 luglio 1968, solenne festa patronale della Madre della Beata Vergine Maria, esattamente 33 anni fa, nasce la nuova Parrocchia di Sant’Anna in Rapallo.
La neonata comunità , oltre che a provvedere alle necessità spirituali, si trova di fronte all’immane compito di aggregare una popolazione estremamente eterogenea.
Le nuove abitazioni vengono in parte occupate da immigrati che si insediano nella nostra zona in cerca di lavoro ed in parte da chi acquista una dimora estiva per le vacanze e finisce, spesso, col farla diventare la residenza stabile negli anni della pensione. Solo un ridotto numero di alloggi soddisfa le aumentate esigenze della popolazione locale. Ma le difficoltà per la nuova Parrocchia non sono solo di questo tipo: nel giugno del 1969 in ossequio alla frenesia edilizia abitativa, il tempio e le poche strutture annesse devono sloggiare per lasciar posto all’ennesimo palazzo. Il prefabbricato adibito a chiesa viene demolito e le attività di culto vengono trasferite nei fondi di un edificio in Via Toti, locali prima affittati e poi acquistati grazie ad una donazione. Si arriva così ad un’altra soluzione provvisoria che non soddisfa nè le esigenze culturali, nè quelle catechistiche, nè quelle di aggregazione sociale.
Inizia, pertanto, la lunga, sofferta ed estenuante battaglia per dare alle comunità una sede idonea. Sono passati ben 33 anni dalla nascita del soggetto parrocchiale. Da un quarto di secolo la comunità attende di onorare in modo degno il suo Signore.
Bibliografia
A. Ferretto, Regesti delle Relazioni Pontificie e la Pieve di Rapallo, 1899
A. Ferretto, su Il mare nn. 39, 212, 213 G. Poggi, Il Santuario di Montallegro, 1935
G.L. Barni, Storia di Rapallo e della gente del Tigullio, Genova, Sabatelli Liguria 1983
P. Berri, Rapallo nei secoli, rievocazioni e scorribande, Rapallo, 1964
Si ringraziano vivamente per la consulenza storica e per la grande disponibilità : il Sig. Pier Luigi Benatti, storico rapallese, e la Dott.ssa Maria Teresa Sanguineti della Biblioteca Universitaria di Genova, Paolo Sanguineti e Piero Canobbio.